Libertà va cercando, ch’è si cara , come sa chi per lei vita rifiuta”
Catone l’Uticense, politico romano del tempo di Cesare, è ancora oggi il testimone scomodo dell’amore sconfinato per la libertà che lo portò alla scelta estrema del suicidio.
Dalle poche immagini che narrano la sua scelta, tra cui questo dipinto di area veneta del XVI Secolo, emerge ancora una potenza che crea disagio e obbliga a riflettere.
Si può amare tanto la libertà da togliersi la vita in mancanza di essa? Si, per chi pensa che una vita senza libertà non sia vita. E il pensiero in questi giorni va ai giovani partigiani che scelsero consapevolmente di camminare al fianco della morte proprio per l’amore sconfinato per vita. La libertà purtroppo si nutre del sangue degli uomini liberi.
Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni
:: La causa vincitrice piacque agli dei, ma quella sconfitta a Catone
(Lucano – Pharsalia I-128
Marco Porcio Catone (c'è chi scrive anche Marcio Porcio Catone) il giovane nacque nel 95 a.C.. Era il pronipote dell’omonimo famoso Catone il Censore per distinguerlo dal quale è spesso chiamato il Giovane o Uticense, dalla città in cui morì suicida quando vide svanire i suoi sogni di libertà repubblicana. Come il suo prozio, fu uomo di profonda cultura, molto severo nei costumi e nemico di ogni azione disonesta. Di lui si diceva che non rideva né sorrideva mai e che non cercava l’amicizia di nessuno. Sempre pronto a biasimare chi faceva il male, ebbe sicuramente tanti ammiratori, ma nessun amico.
Nel 72 a.C. combatté contro Spartaco. Seguì, poi, il normale “cursus honorum” senatorio raggiungendo la pretura.
Nel 67 fu legato di Pompeo nella guerra contro i pirati; ebbe la questura nel 65 e fu tribuno della plebe nel 63, anno in cui avvenne la famosa “congiura di Catilina”. Nell’occasione Catone, al fianco del console Marco Tullio Cicerone, fu il più autorevole sostenitore della fermezza del Senato nei confronti dei congiurati chiedendo ed ottenendo la pena di morte per i catilinari. L’Uticense fu, poi, il solo a non abbandonare l’oratore quando nel 58 fu costretto a lasciare Roma in virtù di una legge che condannava all’esilio chi avesse fatto uccidere un cittadino romano senza la sanzione del popolo.
Nel 54 fu eletto pretore. Cicerone e Plinio il Vecchio, in periodi diversi, ci informano che in quell’anno, poiché i comizi elettorali erano viziati da sospetti di brogli, le parti in causa decisero di depositare le cauzioni nelle mani di Catone, ritenendolo, evidentemente, una persona al di sopra di ogni sospetto. L’episodio, ancora una volta, ci dimostra che Catone era ritenuto da tutti un esempio di rigore morale, di correttezza politica ed onestà in tutti i sensi.
Da pretore, poi, fece varare un provvedimento in base al quale ogni candidato alle elezioni doveva rendere conto delle spese e delle azioni compiute durante la campagna elettorale. La cosa infastidì molti politici che, quando Catone si presentò nel foro, lo ingiuriarono e gli tirano alcune pietre. Allora Catone salì sul rostro e arringò la folla riportando la calma.
Strenuo difensore della tradizione repubblicana e dell’autorità del Senato, quando queste furono minacciate dal primo triumvirato, Catone, più di ogni altro, rappresentò l’opposizione del Senato allo stesso. Allo scoppio della guerra civile, sembrando che Pompeo rappresentasse il Senato contro le aspirazioni tiranniche di Giulio Cesare, si schierò con quello. Dopo la sconfitta di Pompeo a Farsalo, Catone continuò in Africa la guerra contro Cesare in difesa della libertà della Repubblica. Alla notizia della sconfitta dei pompeiani a Tapso, assediato nella città di Utica e ormai senza più speranze, si diede la morte nel 46 a.C..
Avversari politici, nemici ed ammiratori sono concordi nell’esaltare il valore morale di Catone che supera indenne ogni epoca per giungere fino ai nostri giorni quale fulgido esempio da seguire.
Appena morto, Cicerone scrisse un grandissimo elogio di Catone che colpiva quasi direttamente Cesare del quale l’Uticense era stato fiero avversario. Il dittatore, per contrastare l’esaltazione che da più parti si faceva di Catone quale martire della libertà, rispose con un’opera in due libri, “Anticato” (Anti Catone), opera per noi perduta.
Anche Sallustio, cesariano di ferro e quindi suo avversario politico, nel “De Catilinae coniuratione”, scritto tra l’altro nel 43/42, poco dopo la morte di Giulio Cesare, riconosce ed esalta le virtù di Catone confrontandole proprio con quelle eccezionali, ma estremamente diverse del dittatore.
Ed è proprio Sallustio a dirci che Catone era ritenuto da tutti grande per l’integrità della vita e che il suo rigore morale aveva accresciuto la sua dignità. L’Uticense, a differenza di Cesare, aveva conquistato la gloria senza elargire nulla, anzi in lui si vedeva la rovina dei malvagi. Catone, per altro, riponeva ogni cura nella moderazione, nel decoro e nel rigore della vita. Non gareggiava in ricchezza con i ricchi o in faziosità con i faziosi, ma in virtù con i virtuosi, in pudore con i modesti ed in disinteresse con gli onesti. Egli preferiva essere retto piuttosto che sembrarlo e per questo, anche se non cercava la gloria, era questa che di più lo seguiva.
In Sallustio, per altro, Catone Uticense, in occasione della congiura di Catilina, quasi costringe Cicerone ad un ruolo marginale diventando egli il vero responsabile delle decisioni e della fermezza del Senato. Lo storico, inoltre, ritiene che sia proprio Catone, e non Cicerone o altri, l’essenza del pensiero repubblicano, il vero rappresentante di una classe aristocratica in possesso di una supremazia morale, che ormai non esiste più, in contrasto con Caio Giulio Cesare, politico accorto e vigile delle istanze del tempo presente.
In età augustea Catone è elogiato da Virgilio e da Orazio.
Cento anni dopo la sua morte, quando ormai si vive sotto la tirannide di Nerone e la libertà repubblicana e solo un vago ricordo, è il filosofo stoico Lucio Anneo Seneca ad esaltare le qualità di Catone. Lo scrittore scriveva al suo amico Lucilio che “nessuno poté avanzare con maggiore dignità dell’uomo che si levò contemporaneamente contro Cesare e Pompeo, e mentre si parteggiava per l’una e per l’altra parte, li sfidò entrambi e dimostrò che si potevano tenere anche le parti dello Stato” (Seneca – Lettera a Lucilio 95). Ma non basta! Catone diventa il modello della fermezza stoica spinta fino al sacrificio di sé. A Seneca, infatti, “piace ammirare l’invincibile fermezza di un uomo incrollabile nella rovina generale” e per lui la morte di Catone è vista come l’attimo in cui la libertà esala l’ultimo respiro.
Nello stesso periodo, anche il nipote di Seneca, Marco Anneo Lucano, autore del poema Pharsalia, rende onore a Catone. L’Uticense è, insieme a Pompeo, l’idolo del giovane poeta latino che lo omaggia con un verso meraviglioso “Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni”, sicuramente il più celebre del Pharsalia. Con queste parole Lucano pone Catone, benché sconfitto, sullo stesso piano degli dei, anzi addirittura su un gradino superiore. E Catone assume dimensioni di condottiero biblico, diventando una specie di Mose che guida i suoi uomini verso la terra promessa: “In mezzo a queste sciagure Catone percorre il deserto insieme ai suoi forti soldati”.
Per Lucano, Catone è moralmente perfetto, le sue scelte sono giuste e la sua coerenza incrollabile. Egli partecipa alla guerra civile non per motivi o interessi personali, ma solo per la difesa delle tradizioni romane. Per questo motivo l’Uticense può giudicare le personalità del suo tempo, a cominciare da Pompeo, prima odiato per essere stato causa della guerra civile, poi esaltato per essersi schierato in difesa della giusta causa.
Per la sua forte personalità, Catone Uticense fu sempre considerato il simbolo della libertà umana al punto che Dante lo pone a guardia del Purgatorio quale simbolo della libertà dal male.
La figura di Catone, infine, ha ispirato il melodramma “Catone in Utica” a Pietro Metastasio; le tragedie “Cato” allo scrittore inglese Joseph Addison e “Catone morente” a Johann Gottsched e “Il suicidio di Catone l’Uticense” al pittore Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino.
Perché Dante colloca un personaggio pagano, oppositore di Cesare che fondò l’Impero di Roma voluto da Dio, e suicida come Catone Uticense a guardia del Purgatorio (Purgatorio Canto 1. Riassunto e commento)?
La figura di Catone era già stata celebrata nella Letteratura latina come quella di un uomo dalle virtù incorrutibili. La teologia medievale ammetteva poi la possibilità che pagani particolarmente nobili fossero stati salvati. Lo stesso suicidio poteva essere legittimo, quando avvenisse per ispirazione divina e desse una testimonianza e un esempio morale agli uomini. Infine, Catone fu sempre considerato il simbolo della libertà umana (osteggiò Cesare per superiore amore di libertà, Purgatorio Canto 1. Riassunto e commento) e in Purgatorio le anime conquistano appunto la libertà dal peccato.
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente.
24
Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle!
27
Com’io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l’altro polo,
là onde ’l Carro già era sparito,
30
vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo.
33
Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a’ suoi capelli simigliante,
de’ quai cadeva al petto doppia lista.
36
Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,
ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante.
39
"Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?",
diss’el, movendo quelle oneste piume.
42
"Chi v’ ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?
45
Son le leggi d’abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?".
48
Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
51
Poscia rispuose lui: "Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni.
54
Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com’ell’è vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi.
57
Questi non vide mai l’ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era.
60
Sì com’io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i’ mi son messo.
63
Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa.
66
Com’io l’ ho tratto, saria lungo a dirti;
de l’alto scende virtù che m’aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.
69
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
come sa chi per lei vita rifiuta.
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