Le immagini di Pino Bertelli, che ho il grande onore di vedere esposte insieme alla mia “Nigra sum, sed Formosa” non hanno bisogno di essere presentate. Parlano con il linguaggio tragico e sublime che un grande Artista , ovvero un potente narratore come Pino, che nessuno può ignorare. Aggiungere parole sarebbe ridondante. E’ forse opportuno che vi presenti la mia, e il loro contesto, ovvero il titolo che Con Simonetta ed Emilio abbiamo scelto.
Cose dell’altro mondo è una espressione un pò desueta che si usava davanti a qualcosa di sconosciuto e vagamente perturbante. Per contrasto l’abbiamo scelto per presentare forme di bellezza che arrivano da altri mondi, ma che in fondo non ci sono così estranee, perché la bellezza parla sempre di vita e di morte, di amore e di odio, di coraggio e di viltà; parla insomma, di ogni persona e ad ogni persona, in ogni tempo e in ogni luogo.
Oggi è difficile parlare di amore e di pace, e per questo l’edizione laiguegliese di Cose dell’altro mondo deve testimonia una bellezza tragica.
Venendo all’opera che ho scelto devo fare una premessa.
ivo ogni giorno in mezzo alla bellezza generata da centinaia di manufatti provenienti da ogni angolo del mondo. Sono stati creati ed usati con venerazione da popoli lontani per interagire con il grande Mistero della vita e provare a governarlo. Cercare Risposte alle grandi Domande, sempre le stesse, è un bisogno sentito da ogni persona, da sempre e ovunque, sopratutto quanto grandi gioie o grandi dolori irrompono nella quotidianità e la sconvolgono. Invecchiando sento sempre di più l’esigenza di dare vita ad emozioni e pensieri che una simile bellezza genera anche in me, ma non so dipingere, non so scolpire; penso di sapere vedere, e cerco quindi tracce di bellezza ovunque. Nei mercatini e nelle nostre case si trovano sempre più oggetti tradizionali africani di recente fattura; sono quasi sempre privi di storia ed a volte persino di apparente fascino, ma restano custodi, anche loro malgrado, di una eco profonda; In molti paesi extraeuropei maschere, sculture ed oggetti sono manifestazioni del Sacro, del Mistero della vita a cui provano a dare forma tangibile e comprensibile. Sono realizzati ispirandosi ad una essenza archetipale, e tutto serve a rendere la più efficace possibile la loro funzione trascendente. C’è grande potenza in un simile approccio, e l’energia vitale di quei linguaggi a volte emerge anche nelle copie fatte per i turisti, che non hanno danzato, che non sono state venerate e custodite nella profondità ancestrale di un tempio nascosto nella foresta. Quando mi pare di intravedere quella traccia, cerco di portarla alla luce, renderla evidente. Ho iniziato così a dorare maschere e oggetti tradizionali africani di recente fattura. L'oro comunica in modo immediato e dirompente un messaggio autorevole e prezioso. Ma non trovo convincenti alcuni oggetti rivisitati con l'oro. Mi sembra che chiedano qualcos'altro per far emergere l'energia che vedo in loro, e vorrei che il risultato finale fosse soddisfacente per me ma anche leggibile per chi vorrà vederli. Non voglio cambiare la forma e la materia, perché non mi interessa aggiungere o togliere, ma cambiare l'aspetto.
Rimane il colore.
Non è facile: in Africa il colore è linguaggio, come forma e segno, e quindi il rischio è di adulterare il contenuto profondo che mi sembra di percepire in quei manufatti. Usare l'oro non significa “ cambiare", ma tradurre un oggetto e dichiararne pubblicamente la natura intimamente preziosa. Chi come me pensa che l'arte debba parlare, non compiacendosi di una sorta di autismo artistico, ma debba essere compreso. Gli artisti sono sempre stati dei narratori, che hanno semplicemente scelto se stessi o il resto del mondo come destinatari della narrazione. Questo vale soprattutto in tempi come questi, in cui ognuno è chiamato a fare la sua parte nella vita, per quello che è, per quello che fa.
Per quanto riguarda il colore, ecco perché ho pensato al nero assoluto, opaco e profondo.
Sarebbe già sufficiente: mettiamoci anche, e sopratutto, che il nero è per definizione il colore dell’Africa. In molte culture Africane simboleggia la saggezza e la prosperità, il nome dell’Antico Egitto era KeMeT , Terra Nera perché ricca di limo e quindi fertile e feconda. Ma ciò che mi ha convinto è stato ricordare le Madonne Nere, e ad esse associare il celebre e misterioso “ Nigra Sum, sed formosa” scritto nel Cantico dei Cantici di Salomone ( Ct 1,6) . Al netto delle diverse interpretazioni sia della tradizione Ebraica che di quella Cristiana ( e di tante bestialità pseudo esoteriche…) quella meravigliosa opera poetica è un dialogo tra innamorati, appassionato, intenso, carnale..e questa misteriosa Donna “Nera, ma bella..” evoca lo spessore e la sofferenza della condizione femminile, dei suoi saperi oggi indispensabili per salvare un mondo messo a rischio da troppi millenni di paternalismo maschilista.”
Con questo titolo ho realizzato diverse interventi su opere d’arte tradizionale africane destinate al commercio e non al rito, e quindi “false” secondo i criteri degli studiosi ( occidentali) e del mercato. Sono opere nelle quali ho visto quelle tracce di energia vitale di cui ho scritto sopra, ed ho cercato di renderle evidenti grazie alla potenza del nero, colore/concetto. Se volete, potete vederle qui
Questa è particolare: mi ha colpito la sua imponenza, il suo insieme di elementi tradizionali tipici ( gli anelli accennati attorno al collo, la forma) e lo stile di uno sconosciuto artista di qualità, che ebbe il coraggio di portare la modernità del secolo scorso in un’opera ancorata a saperi antichi ) Così prima l’ho interamente dorata, e poi coperta con il nero, per marcare ulteriormente il fatto che è nera, ma bella.
Giuliano Arnaldi, Onzo , 5 ottobre 2025
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