Antonio Sabatelli, ceramica e smalti. cm 42 circa . 1970.
https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Sabatelli
Perchè voglio bene a Sabatelli
Per rendere comprensibile questa affermazione devo raccontarvi prima qualcosa di me. Tra le mille leggende che circolano sul mio passato, e che ormai mi divertono, una sola ha un qualche fondamento: nei primi anni ’80 del secolo scorso ebbi seri problemi economici, che finirono nell’usura. All’epoca mi sembravano insormontabili, in realtà sono stati la mia fortuna. Ero una “giovane promessa”, ma in un attimo mi trovai il vuoto attorno, e imparai a caro prezzo a dare il giusto peso a persone e scelte di vita. I problemi economici nacquero da una ubriacatura compulsiva di arte associata in modo micidiale al fatto che, come diceva mio padre, ho litigato con i soldi da piccolo e non ho mai fatto la pace. Da quella antica lite mi è rimasta però la convinzione che il valore economico di un’opera d’arte non sia assoluto, e per certi versi nemmeno rilevante; devo dire che leggere ed interiorizzare la favola dei vestiti nuovi dell’Imperatore in questo senso mi è servito molto… Avevo una bella collezione, che ho dovuto vendere negli anni a ridosso dello tsunami finanziario per sopravvivere. Rimpiango alcune opere, sopratutto quelle di Artisti che conoscevo e frequentavo, ma devo dire che negli anni sono riuscito a recuperarle quasi tutte. Mancava Saba telli. Grazie ad un carissimo amico - uno dei pochi di quegli anni che ancora mi sopporta e che non cito per discrezione - questa lacuna si sta lentamente colmando, e il piatto di ceramica che vedete in alto ne è l’esempio più struggente.
Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 frequentavo Sabatelli, che chiamavo pudicamente Antonio. Frequentavo la sua casa con una certa regolarità, chiamando sempre prima di andare. Non farlo era rischioso, sopratutto se non si andava da soli. Alcuni sapevano di questa nostra amicizia, e siccome non era facile avvicinare Saba telli, sopratutto per acquistare qualche opera, un amico mi chiese di “introdurlo”: feci l’errore di non avvisare prima, e Antonio uscì sul balcone, lo riconobbe e ci prese letteralmente a fucilate ( con un flobert) ..non ci prese, credo per scelta..con il senno di poi aveva ragione, la persona in questione era in politica come me, come me nel PCI, ma a differenza di me già in carriera. Saba telli mi chiamava Armani, e non Arnaldi, per sbeffeggiare il mio vezzo di atteggiarmi a dandy, vezzo che probabilmente porterò nella tomba. Scrisse Armani anche dietro un dipinto che mi regalò - perchè praticamente le sue opere me le regalava, l’ho capito dopo - , e che purtroppo non ricordo nemmeno dove sia finito. Mi sottoponeva al rito di bere in tazze che definire sporche è un eufemismo, alternando frasi irripetibili a concetti e conoscenze alchemiche, artistiche e filosofiche che ho pienamente compreso solo nei decenni seguenti: sono state la miccia che ha acceso in me un particolare sguardo sull’arte. Ma mi lasciava vedere l’incredibile collezione di tappeti accatastati uno sull’altro, i robot degli anni 50, la ceramica gialla e nera e tutta la fantasmagoria surreale che abitava con lui in quella gigantesca wunderkammer che era la sua casa, popolata da ogni forma di bellezza compreso bellissime signore giovani e meno giovani che sbucavano dai posti più impensati per svanire in un attimo. Il personaggio era decisamente spigoloso; ad un certo punto, per smarcarsi da alcuni familiari, iniziò a farsi chiamare ed a firmarsi ricordo che in un momento di “buona” acquistai presso un gallerista / corniciaio un suo grande dipinto, oltre due metri per uno. Era uno dei pochissimi mercanti a cui Saba belli dava opere in conto vendita. Il povero gallerista , un gran brav’uomo, si presentò a casa mia dopo qualche giorno con i soldi che gli avevo dato dicendo che Antonio non voleva che lo avessi io ..”costa troppo per lui” fu la motivazione espressa….Ma l’episodio che non dimentico, e che rende struggente avere nuovamente un piatto di Saba simile ai tanti che mi sono passati per le mani per finire altrove, fu una sua chiamata, arrivata a casa mia sul telefono fisso all’alba di un giorno burrascoso. Aveva saputo dei miei problemi, che probabilmente erano stati ingigantiti da chi glieli riferì…mi disse solo, in dialetto “ Armani, mia che gh’ho ancun unna cà a Pariggi, se a te serve…”….
Il vero eroe non è l'individuo votato a grandi imprese, bensì chi è riuscito − attraverso le piccole cose − a costruirsi uno scudo fatto di lealtà.Paulo Coelho, Il manoscritto ritrovato ad Accra, 201 2 La foto riproduce uno scudo rituale della cultura KATU ( Vietnam, Laos ) Anche in questo caso le opere d’arte ci ricordano che i confini delle culture non sono tirati con il righello dei colonialisti, ma plasmati da un complesso sistema di fattori geografici, storici ed economici che formano i popoli e le loro tradizioni. Ci ricordano che sono permeabili, reciprocamente influenzati dagli usi e dai costumi delle persone che li abitano; luoghi di incontro, e non necessariamente di scontro. Ci ricordano anche come l’uso delle parole non è asettico, ma potenzialmente propagatore di pregiudizi e discriminazione. Questo scudo cerimoniale è abitualmente attribuito ad un popolo vietnamita chiamato Moi; già l’uso di questo termine è ambiguo e in parte irrispettoso. Infatti i diverso ...
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