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PENSIAMO IMMAGINI

 

Grande conchiglia "Pakol", Mendi Valley, Southern Highlands, Papua Nuova Guinea.


PENSIAMO IMMAGINI, TRASMETTIAMO EMOZIONI.


Proviamo a pensare agli elementi che compongono un’opera d’arte come a elementi alfabetici di un sistema di comunicazione metaforico, naturalmente  strutturato per interiorizzare e trasmettere un concetto  in modo istintivo, profondo, efficace, utile. Paradossalmente è più semplice davanti ad un’opera astratta, perché, come dicono in molti,  appare incomprensibile, non ci consente una immediata associazione con  qualcosa di conosciuto, sia esso paesaggio, figura o elemento naturale.

Proviamo a leggere  anche gli elementi figurativi di un’opera - un viso, un paesaggio, il colore di un drappeggio - non solo per ciò che rappresentano, ma come forma, colore, materia,  come strumenti usati per slatentizzare, per evocare stati di coscienza.

Funziona, perché l’arte non descrive ma  testimonia ed evoca. 

Certamente essendo linguaggio si adegua al contesto. Ma può andare ben oltre perché essendo incardinata nel nostro stesso modo di essere neuro fisiologico , diventa lingua universale, per ciascuno e non per tutti. Non è chiamata ad essere banale, ma ad essere semplice, non diminuisce,  fa sintesi, con/fonde elementi e linguaggi diversi.


La potenza evocativa di un’opera può liberarsi in modo illuminante  grazie alla forma, al colore, alla materia, finanche grazie al titolo, al richiamo esplicito ad una iconografia consolidata, addirittura archetipica o inconscia, come all’insieme di tutti questi elementi. 

Ma abita in chi la guarda, che grazie a tale potenza ri/conosce e si riconosce. 

L’artista avverte che fuori dalla norma razionale esiste una realtà, e che è suo compito rappresentarla. 

Negli eventi che che chiamiamo “dialoghi tribaleglobale” proviamo a contaminare le forme apparenti di linguaggi diversi per far emergere la lingua comune, quella dell’arte. La dimensione ieratica di una figura femminile Lobi può entrare in sintonia con la sinuosità di una Maddalena Barocca?  Possono entrambe dialogare con l’austerità conturbante delle fotografie di Irina Ionesco?  Se c’è bellezza c’è sempre dialogo, e a volte il risultato è sorprendente.

  

                                                       


                                                  ARTISTA FIAMMINGO, PRIMA METÀ DEL XVIII SECOLO


Maddalena penitente con natura morta di ortaggi in primo piano

Olio su tavola, cm. 48x35. 




                                                                     





GHURRA, Nepal. Strumento per cagliare il latte




          




                                                             

                                                      

1) Il fondamento scientifico 


NEURONI (1) / I NEURONI SPECCHIO


I neuroni specchio sono una classe di neuroni motori che si attiva involontariamente sia quando un individuo esegue un'azione finalizzata, sia quando lo stesso individuo osserva la medesima azione finalizzata compiuta da un altro soggetto[2]. Sono stati osservati direttamente negli esseri umani[3], nei primati[4], e negli uccelli[5]. Il nome attribuitogli deriva dal fatto che tali neuroni "rispecchiano" la stessa azione, eseguita da sè stessi o da altri individui.

Scoperti tra gli anni ottanta e novanta del XX secolo da un gruppo di ricercatori dell'Università di Parma, i neuroni specchio hanno destato grande interesse nella comunità scientifica, e il cosiddetto "sistema specchio" è stato chiamato in causa per spiegare funzioni cognitive complesse come l'acquisizione del linguaggio[6], la teoria della mente[7][8][9] o l'empatia[10][11][12][13][14]. Ad oggi, tuttavia, non sono stati proposti modelli neurali o computazionali ampiamente accettati per descrivere come l'attività dei neuroni specchio supporti le funzioni cognitive[15][16][17], e il tema continua a suscitare intense discussioni tra gli scienziati. …Nella scimmia i neuroni specchio sono stati localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore e nel lobo parietale inferiore. Questi neuroni sono attivi quando le scimmie compiono certe azioni, ma si attivano anche quando esse vedono compiere da altri le stesse azioni. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e l'elettroencefalografia (EEG), si è dimostrato che nel cervello umano esiste un sistema analogo, cioè una sincronia fra azione e osservazione. Attraverso studi di risonanza magnetica si è visto che i neuroni attivati dall'esecutore durante l'azione sono attivati anche nell'osservatore della medesima azione. Ulteriori indagini sugli esseri umani non solo hanno confermato le attività neuronali sulla base di studi di neuroimmagine, ma hanno anche portato a concludere che tali neuroni sono attivati anche nei portatori di amputazioni o plegie degli arti, nel caso di movimenti degli arti, nonché in soggetti ipovedenti o ciechi: per esempio basta il rumore dell'acqua versata da una brocca in un bicchiere per l'attivazione, nell'individuo cieco, dei medesimi neuroni attivati in chi esegue l'azione del versare l'acqua nel bicchiere.

Questa classe di neuroni è stata individuata nei primati, in alcuni uccelli e nell'uomo. Nell'uomo, oltre ad essere localizzati in aree motorie e premotorie, si trovano anche nell'area di Broca e nella corteccia parietale inferiore. Alcuni neuroscienziati considerano la scoperta dei neuroni specchio una delle più importanti degli ultimi anni nell'ambito delle neuroscienze. Per esempio Ramachandran ha scritto un saggio[18] sulla loro importanza potenziale nello studio dell'imitazione e del linguaggio.(WIKIPEDIA) 


  1. Il neurone è l'unità cellulare che costituisce il tessuto nervoso, il quale concorre alla formazione del sistema nervoso, insieme alle cellule della neuroglia e al tessuto vascolare. Grazie alle sue peculiari proprietà fisiologiche e chimiche è in grado di ricevere, elaborare e trasmettere impulsi nervosi sia eccitatori che inibitori[1], nonché di produrre sostanze denominate neurosecreti. ( WIKIPEDIA)


                                                               


  





2) Una percezione unitaria : la gestalt


GESTALT : Importante indirizzo della psicologia moderna sorto agli inizi del XX secolo, secondo il quale ogni percezione si presenta all'esperienza come un tutto unico, come una struttura definitiva avente una sua forma individuale, e non come una giustapposizione di unità elementari.

Pur mantenendo inalterato il valore percettivo delle singole immagini, appare una immagine che è ulteriore e diversa dalla somma degli elementi che compongono l’insieme.






                                                       




3) Una percezione sinestetica


La sinestesia (dal gr. sýn «con, assieme» e aisthánomai «percepisco, comprendo»; quindi «percepisco assieme») è un procedimento retorico ( retorica), per lo più con effetto metaforico ( metafora), che consiste nell’associare in un’unica immagine due parole o due segmenti discorsivi riferiti a sfere sensoriali diverse. ( treccani.it )


La sinestesia è un fenomeno sensoriale/percettivo, che indica una "contaminazione" dei sensi nella percezione.[1] Il fenomeno neurologico della sinestesia si realizza quando stimolazioni provenienti da una via sensoriale o cognitiva inducono a delle esperienze, automatiche e involontarie, in un secondo percorso sensoriale o cognitivo.


Queste sono le definizioni più comuni: l’origine etimologica della parola ( sýn «con, assieme» e aisthánomai «percepisco, comprendo»; quindi «percepisco assieme») ci propone però uno sguardo più ampio e complesso. 



Percepire assieme “ infatti può essere opportunità e non problema, può arricchire una esperienza e renderla maggiormente significativa e duratura 







4) il principio era il Verbo: 


PAROLA, dal latino parabola ‘similitudine’, parabolé in greco, che è dal verbo parabàllo ‘confronto, metto a lato’.

Le parole
se si ridestano
rifiutano la sede
più propizia, la carta
di Fabriano, l’inchiostro
di china, la cartella
di cuoio o di velluto
che le tenga in segreto;

le parole

quando si svegliano

si adagiano sul retro

delle fatture, sui margini

dei bollettini del lotto,

sulle partecipazioni

matrimoniali o di lutto;

le parole
non
chiedono di meglio

che l’imbroglio dei tasti

nell’Olivetti portatile,

che il buio dei taschini

del panciotto, che il fondo

del cestino, ridottevi

in pallottole;

le parole

non sono affatto felici

di essere buttate fuori

come zambrocche e accolte

con furore di plausi e

disonore;

le parole

preferiscono il sonno

nella bottiglia al ludibrio

di essere lette, vendute,

imbalsamate, ibernate;

le parole

sono di tutti e invano

si celano nei dizionari

perché c’è sempre il marrano

che dissotterra i tartufi

più puzzolenti e più rari;

le parole

dopo un’eterna attesa

rinunziano alla speranza

di essere pronunziate

una volta per tutte

e poi morire

con chi le ha possedute.


Eugenio Montale, Le Parole , Satura II




  1. il potere della Parola 

Gv 1,1-18 In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 


Questo è l’incipit della visione del mondo cristiana, ma non solo …I Dogon del Mali pensano che il mondo  offra agli esseri umani una parola muta ( la parola del mondo ) che gli uomini devono decodificare per significarla, e che sia il principale strumento per agire nel mondo reale  


“Il dio Amma ha creato l’universo con la sua parola. I primi uomini che, dopo diverse peripezie, sono arrivati sulla terra, erano come neonati che non sapevano gridare. Nommo, figlio del dio creatore, espulse dalla bocca dei fili di cotone e inventò il primo telaio, la sua bocca forcuta serviva da spoletta: parlava, e la sua parola si materializzava in un tessuto. La parola, venne poi agli uomini: forgiata nelle profondità del corpo umano, il cuore è il fuoco, i polmoni sono il mantice. A livello fonatorio, la parola, che si innalza in forma di vapore acqueo, diventa sonora poi viene “tessuta”: la lingua è la spoletta, i denti sono il pettine del telaio… Il discorso si forma nella bocca dove riceve forma, colore, disegno, e esce come una striscia di cotone che si srotola.

Nel pensiero africano la concezione della parola umana è in stretta relazione con le componenti della persona di cui è considerata la più alta produzione. Essendo un dono divino, l’uomo deve mostrarsene degno e farne buon uso. La padronanza della parola, cioè a dire l’impiego con cognizione di causa delle parole efficaci oppure, secondo il caso, del silenzio, della discrezione, del rispetto del segreto, costituisce una vera etica” (In Hommage à Geneviève Calame-Griaule - 2013 -) 


La parola prende letteralmente vita, pronunciare il nome di un oggetto o di un essere significa evocarlo, renderlo vivo: i Dogon dicono che dando acqua ai semi si rendono possibili le potenzialità di ciò che deve crescere . Concettualmente non è poi così diverso dall’idea Aristotelica che l'essere in potenza sia  inferiore all'essere in atto, essendo il primo da lui designato come materia, il secondo come forma. La potenza può essere tuttavia attiva quando abbia la capacità di produrre da sé un'evoluzione verso la forma, mentre è passiva se si limita a subirla. Si può dire che il mondo, o se preferite la materia, offre gli strumenti per comprendere l’origine della creazione, che si vivifica nella creazione umana mantenendone la forza originaria, e che parole e cose sono lo spazio entro il quale si stringono le relazioni mirate a mediare tra confusione e solitudine. Parole ( e segni ) sono quindi parte di ciò che comunicano perché ne rendono possibile la comprensione. Ecco il senso dell’approccio gestaltico, In questa direzione si comprende anche la potenza esponenziale dell’approccio sinestetico: odorare, toccare, sentire, gustare imprime all’esperienza visiva una profondità esperienziale ben più profonda e quindi duratura e utile. 

Ma la parola induce mutamenti, ha una dimensione pragmatica ed operativa: è infatti nella  capacità di esprimere ciò che rappresenta che risiede il potere, più che nella rappresentazione stessa: così come le parole si fanno cose, le cose si fanno parola e segno




                                                               






2) La responsabilità della parola



 

In questo caso le immagini parlano più esplicitamente, ci dicono che le parole possono ferire o uccidere, attraverso la rappresentazione simbolica ci ricordano il processo creativo della vita. E’ appunto nel loro farsi materia che appare evidente la responsabilità di chi decide di usarle, è nella loro forma segnico/metaforica che tale responsabilità risulta  palese. 


3) L’equivoco della parola


A volte la parola ha bisogno del segno  ( l’accento ) per essere inequivocabilmente compresa, ma si noti, a proposito di sinestesia come approccio metodologico, che l’accento è anche suono…Non c’è ancora …come si capisce se manca qualcosa o qualcuno oppure uno strumento nautico ? ….Vogliamo principi nel senso di linee guida sul piano morale o speriamo nel ritorno della aristocrazia.

In altri casi l’equivoco resta, ad esempio  

“Mi piacciono i pelati” , “Ho un complesso”“Mi mena al lavoro”“Sento le sirene”“Guarda l’indice”“Mi aiuta un minuto”“Piantala!”






     

       

                                                   



                                                      OSSERVAZIONI SULLA SCHERMATA QUI SOPRA


- PROPOSTE INSIEME , LE IMMAGINI DISTURBANO LA PERCEZIONE, E PREVALGONO QUELLE PIU’ SEMPLICI. 


- LA DEFINIZIONE DI UN’AREA INTORNO ALL’IMMAGINE NE SEMPLIFICA LA LEGGIBILITA’ 


- IL COLORE INTENSO LA RENDE PIU’ EVIDENTE


  • UN’ALTRA OPZIONE: LA PREVALENZA CULTURALE



                                                                     

                                                         




4) ZIG ZAG, il segno parlante 


Le manifestazioni «decorative» di questo segno sono numerose, quasi quanto quelle dell’incrocio. È nostra opinione infatti che tutta una serie di elementi ripetuti in modo da formare linee spezzate, tipo il nastro pieghettato detto «angioino», i denti d’ingranaggi, i denti di sega, i tracciati a zig-zag propriamente detti più larghi rispetto ai motivi precedenti, le colonne striate trasversalmente nei due sensi e infine la disposizione a intarsio, cosiddetta «obliqua», non siano altro che espressioni diverse del simbolo FREGIO A ZIG-ZAG. Nell’araldica, il fregio a zig-zag è una «figura», come il dentellato.

Il tema in questione fa parte del linguaggio delle linee elementari, come caratteristica delle immagini di fecondità nelle culture antiche più diverse. Il segno a V, semplice (V) o ripetuto (VVVVVVVVVVV) quest’ultimo era l’immagine dell’acqua, in Egitto), appartiene per eccellenza al linguaggio pittografico, alle indicazioni elementari che per successive trasformazioni sono diventate scrittura. È indubbiamente un fatto significativo che Ferdinand de Saussure sia stato ispirato, nella creazione della semantica comparata, studio delle radici comuni a tutte le lingue, dal disegno della lettera A, il carattere che si ritrova sempre identico a se stesso in quasi tutte le lingue, per lo meno in quelle indo-europee (cfr. Mémoire sur le système primitrif des voyelles dans les langues indoeuropéennes, Paris, 1878). Ebbene, la A, nella sua forma elementare, non è che una V capovolta, ed è nello stesso tempo la vocale più facile da pronunciare.

In quanto elemento decorativo, il fregio a zig-zag, sia verticale che orizzontale, s’incontra dappertutto. Nella cultura dell’antico Messico il trono del sovrano azteco, stando a una tavola del Codex Telleriano Remensis, era ornato con un fregio a zig-zag. Lo stesso fregio si ritrova sui pali all’ingresso delle capanne, nelle isole dell’Oceania, coronati dalla maschera del «Defunto» lunare. Esempi, l’uno e l’altro, che dimostrano come esso sia stato (e sia ancora) utilizzato dovunque per la decorazione degli oggetti sacri. E quindi investito d’un significato particolare. Ma quale?

In base alla «teoria delle strutture» di Claude Lévy-Strauss, è certo che dei segni così elementari e così diffusi, così «parlanti» possiamo dire, hanno, secondo ogni verosimiglianza, un senso generale comune dappertutto, anche se poi, in funzione delle etnie particolari, dell’ambiente geografico, del clima, ciascuno comporta una sfumatura di significato sua propria. In altre parole, partendo da un senso primordiale presente dovunque, è possibile stabilire una serie di associazioni di significati fra loro vicini. Nel caso del fregio a zig-zag, ci troveremmo di fronte all’espressione del carattere relativo delle cose umane, con le alternanze benefiche e malefiche, un fratto di elementare esperienza, intuitivamente associato all’acqua, calma o terribile, delle inondazioni e delle tempeste oppure della pioggia benefica. Sulla scorta di questi dati generali e lasciando quel che loro spetta alle condizioni di razza e di ambiente diverso, sarà interessante esaminare il significato del tema presso i Dogon dell’Africa Sahariana, dove esso si presenta come un vero e proprio segno grafico. Di fatto, quando s’ha a che fare con un simbolo universale, anche se mancano le referenze per poterlo spiegare in un determinato ambiente – nel nostro caso l’arte romanica –, è raro che un’altra cultura, in un’altra parte  del globo, non possa procurare una qualche indicazione, e perfino delle certezze, sul suo significato.

È risaputo che, grazie a Marcel Griaule e ai suoi allievi, prima fra tutti M.Ile Dieterlein, abbiamo oggi la fortuna di conoscere a fondo una cultura tradizionale, trasmessa oralmente, la cui origine è misteriosa. Vi si trovano in particolare le tracce di una elaborata cosmogonia, alquanto vicina a quella dell’antico Egitto, nella quale ci s’imbatte qua e là anche nella Bibbia. Si possono così vedere i molteplici significati del fregio a zig-zag spiegati da rapporti assai chiari, specialmente quelli dello «stregone» Ogotomeli; secondo un preciso rituale, questi fregi venivano ripetutamente tracciati sulle facciate dei santuari: ed è piuttosto sorprendente notare come il tracciato a zig-zag, simbolo dell’acqua, abbia anche qui, al pari dell’alfa biblico, valore cosmogonico: il suo ruolo appare infatti fondamentale fin dall’inizio del mondo. Le linee a zig-zag verticali tracciano il corso dei ruscelli terrestri e il modo di cadere del Nommo, cioè a dire del demiurgo, quando esso si precipita sulla terra sotto forma di pioggia (cfr. Dieterlein, Signes graphiques soudanais). Fra i 22 segni della serie di Amma, il segno che vuol dire «imparentato» o «alleato» è formato da tre corde che reggono insieme il sistema del mondo.


Un altro segno, composto di triangoli neri e bianchi, come delle dentature verticali, rappresenta le parole pronunciate dal «monitore» dopo la discesa nell’arca, ovvero all’atto della creazione primigenia.


Il primo atto dell’ordinamento dell’universo è infatti la creazione dell’acqua, che è anche l’elemento che serve a dare linfa e alla terra; la linea serpeggiante non è altro che la proiezione su un piano della linea elicoidale che concretizza questo atto primordiale.

I fregi a zig-zag che compaiono nelle pitture sulle facciate dei templi rappresentano «l’andare e venire dell’umidità e del sole. Tirare per far salire, tirare per far discendere, è questa la vita del mondo. Mediante dei raggi, il nommo toglie e ridà la forza vitale: è questo movimento stesso che fa la vita» (M. Griaule, Dieu d’eau, Paris, 1948; trad. ital., Milano, 1968). Lo stesso percorso può essere a volte espresso dal disegno di uno struzzo, il cui corpo a cerchi concentrici è fatto di fregi a zig-zag; il suo correre tutto a scarti improvvisi a destra e sinistra quando è inseguito non si riscontra infatti in nessun altro volatile: è l’animale volubile per eccellenza.

La presenza dell’acqua all’origine del mondo evoca il diluvio e le concezioni antiche, come per esempio quella dei Micenei, che facevano scaturire dall’acqua tutti gli esseri viventi (palese corrispondenza con le moderne teorie sull’evoluzione). Come si sa, la rappresentazione del mondo di cui testimonia la Genesi e che il medioevo conserverà immutata è quella delle acque sotterranee e sopracelesti, delle acque basse e alte. Mircea Eliade ha messo benissimo in evidenza come il mito dei successivi diluvi abbia avuto una diffusione universale, soprattutto nelle regioni minacciate dalle inondazioni. Tutti questi elementi hanno determinato la persistenza del fregio a zig-zag come simbolo dell’acqua, ma è evidente che quelli che hanno assicurato il suo protrarsi fino ai dì nostri sono stati aspetti semplici ed elementari, come le onde che si formano sulla superficie delle acque, per il fregio a zig-zag orizzontale, o come le striature tracciate dalla pioggia che il vento spinge in un senso o nell’altro, per il fregio a zig-zag verticale.

Non vanno però trascurate altre manifestazioni dello stesso simbolo nell’area mediterranea, più vicine all’arte romanica nello spazio, se non nel tempo. Lo vediamo per esempio sugli idoli neolitici della Cappadocia associato a immagini androgine, raffigurazione quasi astratta dell’unione ierogamica: appare evidente che conseguenza dell’unione è l’acqua fecondante. Analogamente sugli avori copti dell’ambone di Enrico II ad Aquisgrana: il fregio a zig-zag si presenta associato alle due effigie di Bacco, immagini dell’Uomo e del Bue, incarnazione e sacrificio, aventi un ruolo propiziatorio simile alla ierogamia e alla partecipazione al corpo e al sangue di Nostro Signore, nel sacramento della comunione, che per molti aspetti ricorda i rituali primitivi. A una di queste effigie di Bacco sono connesse altresì delle striature a destra o a sinistra che decorano l’altare a forma di colonna tronca: una delle Nereidi disegna una striatura a destra, l’altra una striatura a sinistra; segni che, uniti insieme, compongono il fregio appunto a zig-zag, mentre le linee incrociate sulla fronte di Iside, altro modo di riunire le striature, illustrano la nascita divina dal grembo di una vergine – concezione che, come si vede, non è affatto specifica del solo cristianesimo.

Questi due esempi così lontani fra loro – idoli cappadoci e avori copti (riportati in auge sull’ambone all’epoca romanica) – sottolineano e confermano la coerenza di questo linguaggio di linee formato da tratti a zig-zag, da striature trasversali, da triangoli, da incroci, ecc. È un linguaggio che si perpetua attraverso associazioni intuitive, ed è assolutamente normale che, ripetendosi su una gran quantità di oggetti – recinti di presbiteri, balaustrate e stoffe soprattutto –, esso abbia potuto mantenersi in vita dal  secolo VI, epoca degli avori copti, fino all’età romanica e perfino oltre, visto che all’interno della cattedrale di Siena, sul mosaico absidale che circonda l’altare del secolo XIV, ritroviamo il fregio a zig-zag associato sia ai sacrifici di Abele e Caino, sia a quello di Melchisedec, prefigurazioni, come tutti sanno, dell’eucaristia. D’altronde il simbolo dell’acqua è comune fin dall’arte paleocristiana sui mosaici pavimentali delle chiese italiane; in Francia lo si incontra su quello di Saint-Benoit-sur-Loire.

Il mosaico di Siena, come se non bastasse, contiene un’immagine di Ermete Trismegisto. Noi stessi abbiamo portato l’esempio degli avori copti: l’iconografia copta, e dunque egiziana, ha avuto la sua parte nell’adozione del fregio a zig-zag da parte dell’arte romanica. Un fatto, questo, che va messo in relazione col ruolo benefico delle inondazioni del Nilo. Al contrario in Mesopotamia l’acqua è generalmente simbolo di devastazione: si pensi al diluvio Universale, per il cui racconto la Bibbia è ricorsa al prestito dell’Ut Napishtim mesopotamico. È evidente che un segno del genere, ripetuto all’infinito e per ciò stesso quanto mai idoneo ad assumere il significato delle «ripetizioni», dei «ritorni», poteva adattarsi solo con qualche forzatura al cristianesimo, per il quale invece la storia ha uno sviluppo lineare; l’unica soluzione, offerta proprio dagli avori copti, era quella di collegarsi particolarmente al significato delle «direzioni»: destra benefica e sinistra malefica, orizzontale terrestre e verticale celeste.

Come ci ha confermato la testimonianza dei Dogon, l’acqua considerata in Africa come benefica, a causa della calura tropicale, è stata intuitivamente vista nell’arte romanica come simbolo della vita che rinasce, giacché questa deperisce, se essa manca. Si è dunque guardato al tracciato a zig-zag come alla figurazione degli alti e bassi della vita, e lo si è iscritto in orizzontale o in verticale, secondo le due linee che formano la croce. Nel primo caso, voleva dire porsi nella prospettiva terrestre; per esempio, sulla facciata di Saint-Jouin-de-Marnes (Deux-Sévres), i pellegrini si muovono verso la Vergine (la Chiesa) che cammina su una fascia a zig-zag orizzontale.


Sulla stessa facciata, però, nella decorazione a rombi di pietra che fa da sfondo alle figure di Costantino e di Sansone col Leone, il fregio assume l’aspetto di un motivo verticale (tav. 86); ed è proprio nella prospettiva celeste così indicata che compare, alla sommità, il Cristo Giudice con la croce greca. Il segno verticale mostrava al cristiano che, una volta superate, come quegli eroi, le prove della vita su questa terra, egli si sarebbe potuto dirigere sia verso destra, dal lato degli eletti, sia verso sinistra: il segno aveva finito col complicarsi in relazione con l’idea delle «direzioni» e in relazione con la Y.

Ma non per questo era caduto in dimenticanza il simbolismo dell’acqua. Per esempio, un fregio a zig-zag orna l’acquasantiera di Saint-Paulien (Haute Loire), e un disegno ondulato a zig-zag su un capitello di Chanteuges fa da mare o da fiume alla barca di un vescovo: sta a significare il corso della vita. Ma, come a Saint-Jouin, bisogna osservare altresì le variazioni del motivo nelle restanti parti della chiesa. Il fregio a zig-zag verticale si presenta infatti sotto forma di intarsio di pietra nella zona del coro, soprattutto attorno alle due cappelle absidali, una delle quali contiene, tema unico e perfettamente visibile, gli uomini ravvolti dall’intreccio di uroboros, simboli del giovane e del vecchio, dell’eletto e del dannato, al pari degli uomini entro i racemi sugli stipiti della finestra assiale di Aulnay: ci troviamo insomma di fronte allo stesso significato di Saint-Jouin-de-Marnes.

Il fregio a zig-zag compare infine in una forma intermedia, intesa a stabilire un legame fra il cielo e la terra, nell’arco con coronamento a denti di sega, largamente diffuso nel Velay. A Chanteuges lo troviamo sul lato nord, quello tradizionalmente riservato al Giudizio, dove è stata, per essere precisi, incastrata una stele gallo-romana raffigurante un Priapo, al quale era attribuito un valore profilattico e che veniva chiamato Saint Coudiou. I denti di sega sull’arco in questione sono in numero di otto – il numero della vita futura.”

Lessico dei Simboli Medievali, Jaca Book, Milano 1989, pp. 142-145


                                              Nkumba o Mulina, Cultura Lega , RD.C.Prov.@Frank Depaifve Brussel

 


Giuliano Arnaldi per Unitre Alassio,10 febbraio 2022 

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