Felice Cascione entrò immediatamente nel mito. La sua limpidezza, la sua bontà d’animo e non ultimo il suo fisico atletico amplificarono fin da subito le sue gesta eroiche: il testo che segue è tratto da una pubblicazione dei primi anni cinquanta di Giovanni Bronda - l’Uomo, il Medico, il Patriota in Felice. Cascione, Eroe Nazionale - edito da stabilimento Tipografico Belforte , Livorno.
“ Questo episodio è stato ricostruito alla meglio, su dichiarazioni verbali, frammentarie, dopo sette anni dalla morte di Cascione. Forse non è completo, né molto esatto nei suoi particolari, ma si è ritenuto di non doverlo omettere, perché interessante. Durante la permanenza nell'accampamento di Castellermo il dott. Felice ebbe occasione di curare e di guarire da una grave infezione ad una gamba il padre di un partigiano il cui nome di battaglia era C. e che noi chiameremo Viscardo. Il brav'uomo sentiva per il simpatico medico tanta riconoscenza che arrivò a dirgli: “Se le donassi un grosso bue che ho nella stalla non riuscirei a sdebitarmi. Che cosa dovrei fare? “ Rispose ridendo il dottore: “Non ho fieno per mantenerlo; se invece volessi convertirlo in arrosto o in costolette, procurerei un'indigestione ai miei uomini. Se proprio volete darmi un compenso, se potete farlo senza danno per la famiglia; accetterò qualche chilogrammo di farina, di fagioli o di castagne. “ Sarò ben lieto di mandarle domani piccoli quantitativi di questi prodotti che possono servire a Lei ed ai suoi compagni di lotta, se avrà la cortesia di mandare Viscardo a prenderli. “
Il giovane trascorse la notte seguente in famiglia. All'alba era già in cammino alla volta di Castellermo, assieme alla sorella Lena. Sotto questo pseudonimo si nasconde una buona giovinetta che conserva tuttora il culto per l'eroe caduto e che non desidera essere nominata. Era con lo zio N., un vecchietto arzillo che aveva pure motivi di gratitudine verso il dott.Cascione e gli portava un bel sacco di farina bianca. Avevano caricato ogni cosa sulla mula sulla quale Lena aveva trovato modo di sistemarsi, in mezzo ai due sacchi di provviste. Il suo occhio di lince era fisso verso la montagna e il cuore incominciava a fare tic, tac. La bella giovinetta conosceva il dott. Cascione da quando egli si era recato a visitare suo padre infermo, ed aveva osservato quel volto sereno, espressivo, incorniciato da una bella barba alla nazarena e quello sguardo di fanciullo buono, che era l'espressione dell'anima; poi lo aveva rivisto in sogno, bello e sorridente. Aveva perciò sentito prepotente il desiderio di rivederlo ancora. Che andava succedendo nel cuore di quella adolescente quindicenne? Amore? Forse era soltanto ammirazione senza limiti per quell'essere superiore che tutti stimavano ed amavano. Arrivarono all'accampamento in un tempo relativamente breve. La prima persona che incontrarono fu il Comandante che, con il binocolo a tracolla, si avviava verso ponente, onde esaminare i valichi del colle e la vallata del Pennavaire. Ciò allo scopo di conoscere se, da parte del nemico, esistesse la possibilità di prendere di fianco i partigiani. “ Non te li presento, perché li conosci entrambi “ disse Viscardo al suo capo. “ Si, ho questo piacere” disse Cascione, con la sua solita cordialità. “Qual buon vento, signorina?” “ Dottore, disse la fanciulla”, desideravo vedere da vicino il luogo ove mio fratello vive e Le porto molti saluti e rinnovati ringraziamenti da parte di mio padre. Desidero anche dirle “ ( e qui le guance della ragazza si tinsero leggermente di porpora) “ che ho letto e mandato a memoria la sua canzone “Fischia il Vento” e che ho cominciato a cantarla assieme alle mie compagne, la sera, al chiaro di luna, mentre dal terrazzo di casa nostra vediamo biancheggiare queste rocce.” “ E' una notizia che mi fa inorgoglire, ma... attente!... Se vi sentono i tedeschi o i militi della “San Marco” sono guai. “ “ Resti tranquillo, dottore; cantiamo a mezza voce ed abbiamo chi ci avverte, in caso di pericolo. Ed ora mi scusi, sa, ardisco: si parla anche di un'altra poesia contenente alcune domande dirette alla “ Dragonaria “ Conosce Lei l'antica leggenda che attribuisce alla qui vicina eco di tal nome la facoltà di rispondere predicendo il futuro, se viene interrogata in versi? A me ne ha parlato un buon vecchietto del mio paese.” “ La conosco, gentile fanciulla; la conosco. Sono un po' scettico a questo riguardo; ma poiché l'abbiamo qui a due passi, ne farò forse la prova, un giorno o l'altro.” “ Oh, dottore! Perché non oggi? Mi perdoni l'ardire: avrei tanto piacere di esservi anch'io. E sentirebbero volentieri anche mio fratello e zio N.” “ Cara fanciulla e cari amici, sono ben lieto di potervi accontentare, anche per il fatto che sono diretto proprio da quella parte. Corro un momento a casa ( la casa o caserma era nient'altro che un rustico fienile con la paglia mescolata a foglie e riccio di castagno, e serviva di alloggio al Comandante e ad una parte dei suoi uomini). “Tornò presto il dottore, tenendo in mano un foglio che piegò e pose nel portafogli. Nel frattempo N. e Viscardo dopo aver scaricato le cibarie, avevano affidato ad un partigiano la loro mula che di echi sonori e di poesie comprendeva ben poco. Furono presto sul luogo ove Lena, ricevuto il foglio da Cascione, lesse sotto voce, manifestando il suo gradimento, e poi a voce alta, chiara, squillante, premendo sull'ultima sillaba, le seguente strofe:
( IL TESTO E' STATO SCRITTO DA FELICE CASCIONE ) ....................................................................................
O bella ch'hai dormito per lunghi anni, non senti grandi gemiti ed affanni, e il rombo del cannon che vien col vento?
E l'eco: “SENTO”. .................................................................................... Lo scoppio, di'. Non senti di sganciati ordigni da tremendi mostri alati? Non senti, dì, che la gran guerra passa?
E l'eco “PASSA”. .................................................................................... Passa, distrugge, , miete tante vite. Fratellanza e bontà dove son ite? Quando avrà fine il turbine molesto? .
E l'eco “PRESTO”. .................................................................................... Per vent'anni soffrimmo, or le catene saranno infrante, dopo tante pene? Il popol nostro avrà morte, o vita
e l'eco “VITA”. .................................................................................... Potrem ridurre in macchine l'acciaro d'ogni cannon, dopo il periodo amaro? La pace lunga e giusta avremo. Il sai ?
e l'eco “AHI”. .................................................................................... Giustizia e libertà! Gridiamo in coro; Fratellanza vogliam, pane e lavoro, eguaglianza fra i popoli, e la pace!
Ma l'eco... “TACE”... ....................................................................................
La buona Lena già turbata dalla precedente risposta, aveva letto l'ultima strofa con voce fioca. Per questo l'eco aveva taciuto, ma la fanciulla ingenua aveva interpretato quel silenzio in senso negativo. Si alzò, guardò in volto il dottore e si sentì attanagliare il cuore da uno scuro presentimento. Quando il nodo che sentiva alla gola si sciolse, diede in uno scoppio di pianto. I tre accorsero per consolarla, ma soltanto Felice comprese, e fra sé mormorò: “Povera e cara bimba, dal cuore d'angelo, perché devi soffrire per me?...”
Nota biografica
Nato ad Imperia il 2 maggio 1918, morto in Val Pennavaira (Savona) il 27 gennaio 1944, medico chirurgo, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Attivo antifascista sin dal 1940, Cascione si era laureato a Bologna nel 1942. L'anno dopo, mentre stava crescendo la sua fama di medico sensibile e generoso, "U megu" (il dottore), fu alla testa, insieme alla madre, delle manifestazioni popolari ad Imperia per la caduta del fascismo. Ciò gli valse il carcere, governava Badoglio, sin quasi all'armistizio. Con l'8 settembre, raccolto con sé un piccolo numero di giovani, Cascione organizzò in località Magaletto Diano Castello la prima banda partigiana dell'Imperiese. Le azioni vittoriose contro gli occupanti e contro i fascisti si alternavano all'assistenza che quel giovane medico - "bello e vigoroso come un greco antico", com'ebbe a descriverlo Alessandro Natta - prestava ai montanari delle valli da Albenga ad Ormea. Fu proprio la sua generosità di medico a tradire Cascione. In uno scontro con i fascisti, in quella che si ricorderà come "la battaglia di Montegrazie", i partigiani catturano un tenente e un milite della Brigate nere, tal Michele Dogliotti. I due prigionieri rappresentano un impaccio e, dopo un sommario processo, si decide di eliminarli. Interviene "U megu": "Ho studiato venti anni per salvare la vita di un uomo e ora voi volete che io permetta di uccidere? Teniamoli con noi e cerchiamo di fargli capire". Così i due fascisti seguono la banda in tutti i suoi spostamenti. Cascione si prende particolarmente cura di Dogliotti, che è piuttosto malandato, e divide con lui le coperte, il rancio, le sigarette. A chi diffida e tenta di metterlo sull'avviso replica: "Non è colpa di Dogliotti, se non ha avuto una madre che l'abbia saputo educare alla libertà". Passa circa un mese e il brigatista nero fugge. Pochi giorni dopo, Dogliotti guida alcune centinaia di nazifascisti verso le alture intorno ad Ormea, che sa occupate da unità garibaldine. All'alba la battaglia divampa dal versante di Nasino di Albenga. "U megu", con i suoi, tenta un colpo di mano per rifornirsi di munizioni. Il tentativo fallisce; Cascione, gravemente ferito, rifiuta ogni soccorso e tenta di coprire il ripiegamento dei suoi uomini. Ma due di loro non se la sentono di abbandonarlo e tornano indietro: Emiliano Mercati e Giuseppe Castellucci incappano nei fascisti. Mercati sfugge alla cattura; Castellucci, ferito, è selvaggiamente torturato perché dica dov'è il comandante. Cascione, quasi agonizzante, sente i lamenti del suo uomo seviziato, si solleva da terra e urla: "Il capo sono io!". Viene crivellato di colpi. Il 27 aprile 2003, sulle alture alle spalle di Albenga è stato inaugurato un monumento, dedicato alla pace e alla resistenza ligure, in memoria di Felice Cascione, che a suo tempo, tra l'altro, compose le parole dell'inno partigiano "Fischia il vento". La stele, opera donata dallo scultore tedesco Rainer Kriester, era stata sfregiata, tre giorni prima dell'inaugurazione, da neofascisti che avevano anche tentato inutilmente di scalzarla dalle fondamenta.
Fonte Anpi.it
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