TRA FANTASMAGORIA E ARCHETIPI: l’Arte è nelle Origini.
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La definizione fantasmagoria deriva da due parole greche: phantasma da phantazein mostrare, apparire, e dal suffisso -agoria, tratto dal greco: agoreuenin manifestare.
Manifestare apparizioni.
Nei linguaggi delle arti tradizionali extraeuropee forma , segno, colore , materiale da sempre evocano e materializzano opere che difficilmente si possono distinguere dalla grande pittura moderna.
Ciò accade sia quando il prodotto è il frutto di una azione almeno in parte consapevole sia quando è apparentemente casuale.
Dico apparentemente perché un gesto umano non è mai casuale. Può essere inconscio, ma non casuale. Grazie allo sviluppo incessante delle neuroscienze conosciamo abbastanza il funzionamento del nostro cervello per sapere che è nel segreto della sua complessità che abitano le nostre interazioni con l’esperienza della vita: ecco perché le emoticon che inviamo con gli smartphone sono della stessa “famiglia” linguistica delle incisioni rupestri, dei geroglifici e di ogni alfabeto metaforico antico o moderno.
La propensione molto occidentale a considerare inferiore ciò che non riusciamo a capire ci porta da secoli a ritenere selvaggio tutto ciò che non capiamo ed a catalogare come espressione infantile e superficiale ogni forma di semplicità..è come pensare che i bambini siano necessariamente superficiali perché meno “complessi”, ma purtroppo in un mondo ossessionato dal profitto i bimbi vengono considerati aspiranti adulti e gli anziani adulti andati a male!… Tornando al gesto umano, il nodo è ciò che suscita, se esso ci parla o se resta muto: quando il gesto parla, il linguaggio è quello universale e sempre attuale della bellezza, Madre e Sorella dell’Arte.
In quelle arti “ infantili” o “primitive” ci sono spesso linguaggi complessi ed elaborati, potenti, evocativi, misteriosi ed eterni come il sanscrito, l’ebraico, il greco, il latino, : tutte lingue cosiddette morte ma ben vive nell’origine delle parole che usiamo ogni giorno per definire una moltitudine di oggetti d’uso comune .
In questa proposta di discussione mi occuperò di alcuni linguaggi artistici Oceanici e di popoli del Sud Est Asiatico contigui a quel Continente sia geograficamente sia esteticamente.
La mia speranza è che il lavoro di scienziati, umanisti e di studiosi di scienze umane attenti al progresso della ricerca scientifica vada in una direzione univoca, restituendo sempre più bellezza alla scienza e viceversa.
Il terreno comune può essere proprio l’arte, e l’arte tradizionale extraeuropea in particolare. La sua apparente semplicità , il suo essere coinvolgente si spiega innanzitutto con la sintonia tra essa e il modo di funzionare del nostro cervello : provocatoriamente si può dire che la scoperta dei Neuroni Specchio ha fatto fare un balzo in avanti alla ricerca sulla storia dell’arte , si può dire che la filosofia contemporanea non si stanca di studiare il concetto di metafora in Leibniz ….la parola chiave è archetipo, dal greco antico ὰρχέτυπος col significato di immagine: arché ("originale"), típos ("modello", "marchio", "esemplare"); È anche plausibile che derivi da άρχή ("arché"), col significato di "principio", "inizio". ( wikipedia) Per comprenderne la profonda attualità penso sia necessario leggere insieme Jung e Nietzsche, Chomsky e Anati, Semir Zechi e Ungaretti : decontestualizzare e fare sintesi, giocando sempre “fuori casa” rispetto al proprio schema mentale.
Osservare senza pregiudizi serve a capire meglio noi stessi e gli altri: quanto c’è di loro in noi e viceversa.
Poi c’è l’elemento sensoriale: un’opera d’arte primaria si guarda, si ascolta, si tocca, si odora, in alcuni casi si gusta…il resto lo fa il senso senso, la percezione extrasensoriale che amalgama il grumo emotivo e gli dà una dimensione emozionale.
GNOSEOLOGIA OCEANICA..
Le culture Oceaniche tradizionali ci affascinano da decenni. Per certi versi hanno avuto più fortuna di quelle africane e americane: scoperte nel secolo dei Lumi, sono state osservate con meno spocchia colonialistica, forse per il fatto di avere avuto una notorietà crescente in tempi più recenti, quando il “politicamente corretto” iniziava ad andare di moda.
Inoltre quei popoli hanno avuto più fortuna anche nel nome - “aborigeni ” - il cui etimo suggestivo rimanda all’origine, all’archetipo.
In Africa i “pozzi” a cui si può abbeverare chi vuole conoscere le culture tradizionali sono stati avvelenati da tempo con il veleno della arroganza miope e del consumismo esportati dall’Occidente , ma sia per numero sia per uno straordinario istinto di sopravvivenza ( nota 2 Santeria) gli africani e le loro tradizioni restano vivi.
I nativi Americani ( che essendo chiamati indiani devono subire l’arroganza di un errore, ed essendo chiamati americani la paternità di un colonialista già all’epoca più interessato alle ricchezze che alle culture di quei popoli ), sono stati i più sfortunati in assoluto: sono stati semplicemente sterminati e, nel rispetto di quel grande Paese, si può dire che ogni Americano contemporaneo sia discendente o di schiavi o di schiavisti.
Ma cosa rende così intrigante l’arte Oceanica? Non voglio entrare in un discorso storico /specialistico: non ne ho le competenze.
Rimando per ogni approfondimento al lavoro fondamentale del Prof. Emmanuel Anati, che ha pubblicato diversi studi su questo argomento : a proposito delle cortecce tradizionali si può ad esempio vedere:
L’Oceania è un Maremagnum di culture ancora più articolato e complesso di quello Africano, il suo territorio è vasto, disperso nel mare e caratterizzato da alte montagne che hanno reso sconosciuti tra loro popoli distanti in linea d’aria pochi chilometri. E non dimentichiamo che il continente Oceanico è l’unico che si può sorvolare per ore leggendo ancora sulle mappe la dicitura “territorio sconosciuto”. Preferisco occuparmi dell’impatto estetico ed emozionale di quei linguaggi che, seppur diversi tra loro, hanno un comune alfabeto di forme, colore e segno . Probabilmente l’impatto deriva da una immediatezza narrativa più diretta.
Forma e colore servono a narrare una storia ricorrendo ad una architettura strutturale meno marcata . Forse si potrebbe dire che il linguaggio, per essendo di natura metaforica ed esoterica come accade in ogni espressione di Arte Primaria, è più gnoseologico che ontologico.
Inoltre qui, molto più che altrove, l’opera centra pienamente il suo obiettivo se è parte di una narrazione che ha bisogno di un soggetto narrante, sia esso individuale come nel caso delle cortecce australiane o collettivo come nel caso dei riti di Yam a Papua NG. In questo caso le opere escono di scena alla fine della cerimonia per riapparire l’anno seguente, e ogni volta sono ridipinte, probabilmente per ottenere il massimo risultato nell’efficacia narrativa anche attraverso la rinnovata vividezza del colore. Si vedano a questo proposito le schede allegate.
Sempre nel caso dei riti di Yam celebrati presso i popoli che abitano le colline Washkok, è interessante notare come le diverse opere rituali, che hanno nomi , riferimenti spirituali e funzioni diverse ( compaiono infatti con una sequenza temporale ben distinta ) siano in realtà molto simili nella forma e nei colori, che cambiano quasi esclusivamente per identificare l’appartenenza clanica. E’ il phatos narrativo che le differenzia l’una dall’altra.
Ritroviamo però quasi sempre la forma “ a diamante”, le stesse sintetiche espressioni del viso , gli stessi colori. Le forme zoomorfe sono spesso simili, così come i riferimenti al mondo vegetale. Anche l’uso di forme slanciate, proiettate verso l’alto e letteralmente sviluppate in altezza ( si veda a questo proposito l’architettura rituale diffusa in PNG) cattura l’attenzione in modo subliminare. Non credo però che si possa parlare di un’arte “fallica” , anche se gli antropologi documentano la prevalenza degli uomini nei ruoli di potere. Il terzo livello dei riti di Yam ( Nogwi ), il più segreto ed elevato, si conclude con l’entrata in scena di due dività femminili…
IL CULTO DI YAM: LE ORIGINI
“Nei tempi d’origine gli unici oggetti sacri erano banane. C'era un ragazzino di nome Hambos , una creatura insignificante , che bighellonava , raccogliendo cibo ovunque poteva.
Un giorno, nella giungla , lanciò una freccia contro un uccello chiamato Abusindau , ma lo mancò e perse la freccia.
Non molto lontano, una donna anziana , Yinamau , era seduta e stava facendo un sacco di rete.
La freccia si infilò nel sacco . Lei la prese e la nascose . Yinamu era la nonna di Hambas . Hambas cercava la sua freccia , e al tramonto si avvicinò alla casa di Yinamau ; le chiese se l’avesse vista , ma ella mentì e disse di non sapere nulla.
Disse poi ad Hambos : " Se resti qui , ho molte cose da mostrarti , se vuoi tornare indietro non conosci la strada , chi ti aiuterà a trovarla? " . Così Hambros rimase , e la sua famiglia si dimenticò di lui .
Hambos crebbe e diventò un bel giovanotto . Yinamu in un primo momento gli proibì di entrare nella Woganimburr , la sua casa cerimoniale . ma a tempo debito gli mostrò come piantare patate , e i conseguenti riti correlati.
Quando le patate maturarono , ella gli insegna i rituali di per la raccolta : Yina -Ma , Minija-ma e Nogwi . Hambros costruì in seguito due case cerimoniali a suo modo , Abjiakwund e Asasukwund .
In quelle organizzò i rituali e l'invio di ciascuno degli oggetti sacri ai gruppi Nukuma: Yina -Ma andò agli Wanyi , Mndja -Ma agli Amaki ( un sub clan dei Kalaba ) . I Nukuma a sua volta poi li diedero ai Kwoma.
in un primo momento tutti gli oggetti sacri erano in ceramicha; vennero copiati i in legno dalla generazione seguente: di conseguenza a Nagri , ce ne sono molti in legno , solo il Wani -ma (la famiglia di Hambors ) può fare quelli in ceramica ,mentre gli Amaki li fanno in legno.
Quindi , a Nagri Yina -ma è particolarmente associato agli Wanima , e Minija- ma agli Amaki”.
Da “Crocodrile ad Cassowary”, Douglas Newton 1971.
Diverse popolazioni di Papua Nuova Guinea condividono un culto legato alla terra e ad un suo speciale prodotto: Yam, la patata dolce conosciuta anche come igname. La celebrazione di Yam coincide con i riti di iniziazione e passaggio dei giovani. Presso gli Abelam si organizza ogni anno una vera e propria gara tra agricoltori : ogni partecipante ha un competitor, sempre lo stesso, e vince chi dona all’antagonista la patata più grande e riccamente adornata. Più volte si vince la gara, più aumenta il prestigio del vincitore. Per l’occasione i tuberi sono adornati con particolari maschere che non sono indossate da esseri umani pur evocando Spiriti antropomorfi.
Ma il culto di Yam è diffuso in un’area vasta, e assume caratteristiche specifiche:
Nel caso delle Colline Washkok, presso i popoli Kwoma, Nukuma , e Yasyin - Mayo è diversa la struttura dell’edificio di culto, pur essendo architettonicamente costruita in modo molto simile; presso gli Abelam ( 1) è chiusa da una grande facciata adornata di pannelli, sculture e maschere, e all’interno gli spazi sono definiti in modo rituale e non con elementi materiali .
Nelle Haus Tambaran ( definizione in lingua locale dell’edificio di culto ) dei popoli delle colline Washkok la parte frontale è aperta e usata sia per riunioni sia per la celebrazione dei riti.
Anche la sequenza rituale cambia. Sulle colline Washkok abitano popoli tra i più attivi nella produzione artistica: non va dimenticato che maschere, sculture, pannelli rituali prendono vita grazie ai canti e alle danze che li accompagnano, una vera e propria enciclopedia multimediale che coinvolge ogni senso e rende protagonista anche lo spettatore. Lunghi flauti , gong, trombe realizzate con conchiglie ocarine, tamburi ad acqua e non ultima la voce, usata per spaventare, blandire, suggestionare…lo studio del suono è molto accurato e fondamentale per l'efficacia della cerimonia.
All’inizio si raccolgono grandi cumuli di patate e su di essi vengono collocate maschere a forma di testa, appositamente intagliate e dipinte : è il tempo di Yina, la divinità ancestrale. inizia così la prima di tre cerimonie che possono durare giorni.
Gli oggetti Yina sono teste con un lungo bastone a forma di collo. Alcune hanno nomi maschili, altre femminili e ogni clan oltre allo Yina più importante ne possiede coppie di altri. Pur non essendo associati a luoghi specifici, erano forse connessi ai laghi, nei quali le sculture venivano immerse di volta in volta dopo le cerimonie. Ogni scultura veniva poi ridipinta, rafforzando così il potere suggestivo del colore. Non erano associati a miti specifici, ma loro stessi la materializzazione di una “parola oscura”.
Và registrato però che presso gli Abelam il pugnale di osso equivalente al becco del bucerotide si chiama nello stesso modo: per altro questo pugnale in lingua Kwoma è detto Agi ( fonte Anthony Forge, 1965 ) . Terminato il rito di Yina e riposte le sue raffigurazioni ( un tempo nella foresta o in un angolo specifico delle Case Cerimoniali, oggi nelle abitazioni dei membri del clan) , inizia il tempo di Minija.
Si scavano altre patate, si suona un “bullroar” particolare chiamato “ the Pig of Minija” , si realizza un altro cumulo rituale e si presentano i Minija, che sono sempre in coppia a differenza degli Yina che pur variando nel numero, entrano in scena individualmente .
La raffigurazione non cambia molto, se non che le figure non sono strutturate come un asta, ma pur sempre affusolate, a forma di diamante.
La lunga “lingua” evoca il serpente, yerakwant, e sul corpo si trova da entrambe le parti una simbolo ripetuto in modo seriale che può rimandare ad un frutto, ad una pianta o ad elementi simbolici naturali. I Minija sono maschi e partners e sono prevalentemente associati agli spiriti del lago.
Il tempo di Nogwi. Il terzo ciclo rituale è il più segreto: possono assistervi solo gli iniziati e gli anziani. Dopo un complesso rituale fatto di canti e danze i giovani iniziati sono chiamati, viene scavata su un lato della casa cerimoniale una fossa lunga circa tre metri e riempita d’acqua. Su di essa viene posata una piccola piattaforma in legno a rappresentare una canoa, con la parte cava rivolta verso il basso e a filo d’acqua. Un tempo si circondava la piattaforma con i teschi degli antenati presentati con i loro ornamenti; dagli anni 60 del novecento si usano teste di legno. Segue un altro rito complesso e ricco di suoni e voci, e infine compaiono due figure di donna, scolpite nel legno all’interno della Casa Cerimoniale.
Sono Hameyau e Sanggriyau, che saranno poste davanti alla casa Cerimoniale adornate con oggetti e con sacche a rete per la raccolta del pesce.
Saranno loro a garantire una pesca abbondante e fortunata.
I PANNELLI WASHKOK
Sarebbe facile ascrivere i Pannelli Washkuk all’arte “infantile”o liquidarli come curiosità etnografica : arrivano dalle Colline del Sepik di PNG, sono realizzati con le spate di palma di sago dai popoli Kwoma e Nokuma che abitano le colline Washkuk.
Ma c’è di più in realtà sarebbe riduttivo, in essi c’è molto di più: hanno una forte struttura narrativa , parlano concretamente degli Antenati, della Vita, della Morte e lo fanno con forme “semplificate” che suonano familiari anche se fantasmagoriche e surreali ( si potrebbe dire anche surrealiste, visto che l’arte Oceanica ispirò profondamente quella corrente artistica). La materia è semplice ed essenziale, ma non banalizzata. C’è sempre una evidenza metaforica nella scelta estetica, e non credo sia un caso la scarsa presenza di linee diritte, anzi il trionfo di elementi grafici curvi e irregolari che ricordano il corso del fiume Sepik. Evocare attraverso la riproduzione delle forme ciò che “ gestalticamente ” resta impresso significa governarne le energie positive, sia che tali forme rimandino alla forza degli Antenati o della Natura.
I Kwoma e i Nokuma vivono sulle colline Washkok, nella parte a monte dell’ansa del medio Sepik.
La popolazione è organizzata per gruppi insediati sulle cime delle diverse colline: lo spazio tra una e l’altra è diviso tra coltivazioni e foresta. Al centro di ogni insediamento ogni comunità ha un edificio cerimoniale ( haus tambaran) dove si ritrovano gli uomini e dove vengono celebrati i riti.
A differenza dei Korambo - gli edifici cultuali degli Abelam - Ie Haus Tambaran non hanno una porta d’ingresso. In comune hanno una notevole quantità di pannelli ricavati da spate ( le foglie lanceolate della palma da sago) e dipinti con figure sia astratte che figurative ( piante, volti stilizzati di antenati, raffigurazione di divinità ancestrali e legate al culto di Yam ) che ricordano i soggetti dell’arte statuaria.
I pannelli sono posizionati sul soffitto dell’edificio, uniti tra loro mediante una struttura sottostante a cui sono fissati con cordicelle di vimini.
L’insieme fantasmagorico di pannelli e sculture favorisce la “trance”rituale o meglio uno stato di concentrazione trascendente che consente …di vedere l’invisibile.
Le abitazioni erano un tempo disposte in cerchio a partire da essa; in seguito alla pacificazione del 1945 sono organizzate vicino ai corsi d’acqua, e più clan posso condividere lo stesso edificio cultuale.
Come per le altre “ Culture delle Colline”in origine le abitazioni erano costruite direttamente sul suolo, Oggi , con l’eccezione delle cucine , sono fatte su palafitte e quando gli uomini non sono a lavorare nella foresta o nei campi coltivati lo spazio sottostante è quello dove si passa più tempo, anche per interagire con gli altri membri della comunità. Parlare con gli altri è elemento fondamentale nella cultura Kwoma.
SOGNARE, RACCONTARE, AGIRE…. le cortecce di Arnhem
Gli Aborigeni australiani pensano che nel sogno ritorni il mondo del tempo della creazione ed è per questo che affidano al sogno la funzione di luogo adatto per comprendere ciò che è opportuno per la quotidianità.
“ Memoria e mito sono indivisibili. Il mito è memoria di un”epoca in cui gli spiriti e gli uomini comunicavano tra di loro quotidianamente e in cui il cielo e la terra prendevano forma attraverso quelli che noi chiamiamo ”miti di origine” e gli aborigeni australiani chiamano memorie dell”epoca dei sogni.
Per centinaia di generazioni, gli aborigeni hanno cercato e trovato il significato di ogni forma, di ogni roccia, di ogni collina. Tutto ha un senso, tutto fu concepito, voluto, creato, modellato e fatto vivere, dagli spiriti ancestrali nell”epoca dei Sogni: ogni linea della natura ricorda un epos, ogni grotta è piena di leggende, ogni pozza d”acqua racchiude più storie di un gran monumento. Ogni fin piccolo particolare di questo paesaggio brullo, immobile, eterno, nel quale sono immersi ogni giorno, è per loro pieno di vita, di azione, di ragione esistenziale. L”uomo e l”ambiente sono tutt”uno.” dice il Prof. Emanuel Anati (http://www.artepreistorica.com/2009/12/miti-e-memorie-dellepoca-dei-sogni-la-pittura-su-corteccia-degli-aborigeni-australiani/ )
Il mito di Mimi
“ I Mimi sono esseri alti e sottili che vivono nella parte rocciosa dell'Australia settentrionale come spiriti . Prima della venuta degli aborigeni avevano forme umane . Il Mimi è generalmente innocuo , ma in certe occasioni può essere malizioso.
"Quando i primi aborigeni si sono insediati a nord dell'Australia , il Mimi ha insegnato loro come cacciare e cucinare canguri e altri animali . Questi esseri hanno anche realizzato le prime pitture rupestri e insegnato agli aborigeni come dipingere . "
Si racconta che essi vivano in gruppi familiari lungo le scarpate rocciose , ma gli spiriti Mimi appaiono regolarmente nel mito aborigeno , dipinti nelle grotte e sulle corteccia d'arte . Essi sono descritti proprio come sui dipinti che si trovano nei ripari sotto la roccia : nudi , creature affusolate - con grandi teste e capelli . Un mito del paese di Gunwinggu racconta che il Mimi è così sottile che si può vedere attraverso di loro , e aggiunge che , poiché non hanno la carne , le ossa scricchiolano mentre camminano . Ecco una delle storie degli spiriti Mimi , che risale al Dreatime, il tempo ancestrale dei sogni all’origine del mondo : la storia ruota attorno a un giovane ragazzo che vuole essere un cacciatore di successo come il resto del suo clan , ma purtroppo si considera incapace a cacciare. Dopo aver visto gli altri membri della tribù tornare con successo da una battuta di caccia si decide ad avventurarsi fuori dal villaggio per cercare e catturare un Echidna ( tipo di formichiere spinoso) , ma si rende conto di non essere in grado . Mentre il sole tramonta e le ombre crescono lunghe, gli spiriti Mimi emergono per prendersi cura della terra, controllare gli arbusti , l’alimentazione dei pesci e aggiustare i rami spezzati degli alberi.
In un primo momento il ragazzo ha paura degli spiriti Mimi , ma presto essi lo incantano con la loro magia , e lo portano tra le nella rocce, nel loro mondo .
Qui il ragazzo sperimenta la giocosa e allegra natura degli spiriti, si sposa e diventa parte del popolo Mimi .
Il padre , un esperto cacciatore di tracce , alla fine va in cerca di suo figlio , seguendo le sue tracce fino a quando esse improvvisamente scompaiono . Così si siede e comincia a cantare fino a che non è in grado di sentire gli spiriti viventi Mimi che danzano e cantano all'interno delle rocce . Volendo suo figlio indietro , il padre continua a cantare per un lungo periodo di tempo fino a quando i suoi capelli e la barba crescono nelle profondità della terra . Così facendo si avvicina al figlio, può sentire gli spiriti Mimi in modo più chiaro e il ragazzo comincia a sentire il canto del padre . Alla fine, i capelli del padre crescono e si avvolgono intorno al figlio, tirandolo fuori del mondo dei Mimi come un pesce da un lago . Al ritorno al campo , il ragazzo si rende conto che il clan ha bisogno di tutti i tipi di persone con tutti i tipi di competenze , e il fatto di non essere bravo nella caccia non significa che non possa essere utile alla comunità in un altro modo .”
fonte : The Australian Museum (Sydney, N.S.W.) web article "Indigenous Australia Spirituality”
Molto tempo fa, non c’erano stelle in cielo.
Non c’erano persone sulla terra, solo uccelli e animali.
Un giorno il grande spirito Barama parlò a due uccelli della notte : “ Vi sto trasformando in uomini “ disse, “ andrete a vivere su un fiume chiamato Milmooya. Potrete cacciare pesci e animali per mangiare, ma dovete sempre ricordare che sei sono vostri amici”.
Barama trasformò i due uccelli notturni in esseri umani. Gli diede nomi molto lunghi, Moonaminya e Yikawanga. Moonaminya and Yikawanga andarono a vivere sul fiume Milmooya.
Alcuni degli altri uccelli ed animali volevano essere persone. Essi andarono dal grande spirito Barama: “Anche noi vogliamo diventare persone, come Moonaminya e Yikawanga” dissero, voglio andare a vivere sul fiume Milmooya, Noi vogliamo essere cacciatori, e cacciare pesci e animali.”
“ Molto bene” disse il grande Spirito Barama. “ vi trasformerò in persone e potrete andare con Moonaminya e Yikawanga. Sarete cacciatori a Milmooya, ma dovete sempre ricordare di essere amici degli uccelli e degli animali.”
Così le persone andarono a vivere sul fiume Milmooya. Erano molto felici, ed erano gravi cacciatori perché loro stessi erano stati uccelli e animali. Moonaminya e Yikawanga andavano a caccia di pesci nel fiume Milmooya . Costruirono una canoa, remi e e lance per la pesca. Prendevano molti pesci , ma potevano cacciare solo di giorno . Non c’era luce durante la notte perché non c'erano stelle nel cielo .
Moonaminya e Yikawanga riunirono il popolo . " Stiamo per lasciarvi " , dissero . " Viaggeremo nella nostra canoa e andremo in un posto nuovo nel cielo . Ci prepariamo a divenire stelle per farvi sapere dove siamo. Faremo una nuova casa per voi . Potrete viaggiare verso questa nuova casa nel cielo dopo la morte . "
I due uomini remavano nella loro canoa. Remavano lungo il fiume Milmooya. Poi salirono in cielo e diventarono due stelle lucenti.
Moonaminya and Yikawanga guardavano giù sulla terra. Vedevano la loro gente continuare a cacciare lungo il fiume Milmooya. Ogni volta che qualcuno sulla terra catturava un pesce o un animale Moonaminya e Yikawanga facevano una stella. Ogni persona che moriva veniva posta in una bara realizzata con un tronco, e il suo spirito diveniva una stella. Così Moonaminya e Yikawanga ebbero un fine di stelle - che chiamavano Milmooya come quello sulla terra. Ma le persone dalla terra vedevano il fiume di stelle, ed era molto luminoso. Così molti lo chiamarono Via Lattea.
Sulla terra c’era un grande coccodrillo sul fiume Milmooya. Il suo nome era Yingalpia. Era un buon amico di Moonaminya e Yikawanga . essi lo chiamarono : “ Yingalpia, vieni sul nostro nuovo fiume nel cielo”. Così Yingalpia salì in cielo e nuotò nel fiume delle stelle. La sua testa e i suoi arti divennero stelle molto lucenti. Moonaminya and Yikawanga erano molto affezionati a Yingalpa perché era loro amico fin dal tempo in cui essi erano uccelli notturni.
Se guardi il cielo di notte vedrai la Via Lattea. E’ come un fiume di stelle. Quelle stelle sono tutte le persone, gli animali, gli uccelli e i pesci che sono morti. Vicino alla Via Lattea protrai vedere la Croce del Sud. E’ Yingalpa, l’amico coccodrillo. Vicino alla Croce del Sud vedrai due stelle molto brillanti. Sono chiamate “ stelle puntatrici “ ( sono Alpha e Beta Centauri , n.d.a.) perché indicano il sud. Quelle stelle così brillanti sono Moonaminya e Yikawanga. Restano vicini al loro amico Yingalpa. il coccodrillo, e guardano Mimooya, il fiume delle stelle.
Fonte : The Milky Way” Narritjan Maymuru. 1978.
LA PITTURA ABORIGENA CONTEMPORANEA
La pittura Aborigena, ovvero l’arte contemporanea dei nativi australiani, ha avuto molta fortuna negli anni recenti. L’ uso del linguaggio estetico tradizionale, liberato in gran parte dal segno antropozoomorfo delle cortecce tradizionali, ha rivelato una forza impressionante del colore organizzato su grandi tele attraverso forme pure, veramente archetipiche : punti , spirali e altri segni generalmente arrotondati. Forse si potrebbe dire che l’Arte Aborigena ha fatto un passo in avanti rispetto all’Arte Cinetica e alla Optical Art, umanizzandone l’effetto attraverso una concretezza materica che è figlia di un linguaggio antico. Nelle opere più riuscite, oltre alla energia ancestrale di quelle culture, si può leggere anche la declinazione dei miti antichi risalenti al tempo ancestrale dei sogni. Gli Aborigeni australiani pensano infatti che nel sogno ritorni il mondo del tempo della creazione ed è per questo che affidano al sogno la funzione di luogo adatto per comprendere ciò che è opportuno per la quotidianità.
Circa la produzione contemporanea va a segnalato il lodevole tentativo di mantenere la connessione tra le Comunità Aborigene e il mercato dell’arte attraverso forme di organizzazione e controllo pubbliche che consentono tra l’altro di contenere i prezzi di queste opere in ambiti ragionevoli: purtroppo la speculazione mercantile ha comunque cannibalizzato anche questa forma d’arte, creando una costosissima moda..
Voglio concludere questa proposta di discussione con un pensiero del Prof. Emanuel Anati : “ Pietre, piante, animali, uomini e spiriti vivono nella intimità dell”aborigeno nel suo ambiente, nella serena consapevolezza delle regole del suo mondo, dove il reale e l”immaginario sono indivisibili. Esprimersi con la musica, la danza e la pittura fa parte di un modo di vivere e di socializzare con il mondo circostante, con le pietre che accolgono l”arte rupestre e con le cortecce d”albero, che accolgono anch’esse le pitture, con il paesaggio, con le pietre, le grotte, le pozze d”acqua dove le forme stesse sono testimonianza della verità del mito divenuto memoria”. Non so se questa visione del mondo è antistorica, impossibile o perduta per sempre. Certamente sarebbe di grande utilità anche per noi, nel nostro tempo e nei nostri luoghi. E forse quella segreta armonia potrebbe salvarci da una catastrofe possibile.https://www.flickr.com/gp/tribaleglobale/od79x8
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