PADRONI Di NIENTE
L'arte si fa.
Si gode.
A volte si subisce ma non si possiede.
Si possono possedere opere d'arte, ma in qualche modo è immorale perché è come possedere del cibo non condiviso, o meglio accumulare nutrimento che non viene condiviso .
Questo è il punto, condividere il nutrimento che generano le opere d'arte perché esse hanno una funzione vitale, come il cibo.
L’Arte ha una funzione: evocare stati di coscienza, e non descrivere la realtà.
Da sempre qualunque forma di bellezza, pittura, scultura, musica, matematica, poesia, serve a questo, ad evocare e percepire uno stato di coscienza sia esso positivo negativo, terribile o fantastico.
La percezione è energia vitale che consente all'essere umano di crescere, di adeguarsi alla realtà, di cercare di governarla, dal piccolo problema ai quesiti esistenziali: da dove vengo, dove vado, come faccio a stare bene, che senso ha vivere..
Essa svolge una funzione estremamente concreta, insieme immanente e trascendete. Immanente perché aiuta a vedere l’opportunità nel problema, ovvero da dare un senso della vita, all’impegno stupefacente e faticoso di aprire ogni mattina gli occhi e mettere un piede dietro l'altro, trascendente perché l'Arte mette in sintonia con il Mistero , quel Quid più grande di me del quale mi sento parte e che non posso comprendere in modo razionale, o meglio non posso controllare, non posso definire nel perimetro della logica. Grazie all’Arte posso però riconoscerlo dentro di me , dentro un Io parte di un Tutto, parte attiva e fondamentale, non misurabile, non quantificabile ma qualificabile perché il Tutto, il Mistero, non si può quantificare: sarebbe come prendere le misure all'universo. Esso è infinitamente più grande di noi, la sua cifra è una misura che non appartiene all'esperienza, alla possibilità umana.
Sarebbe come volere contare i numeri, nel senso di contarli tutti, fino all'ultimo .
Essi sono infiniti e in questo sta la loro bellezza.
Ecco che l’arte si manifesta come luogo dell'anima , nel quale ciascuno di noi, come l'uomo vitruviano, prende le misure del tutto, diventa consapevole di starci dentro, per quello che è e per quello che sa, per quello che può fare.
E non per quello che ha.
Ecco perché non siamo padroni di niente, come dice la lirica bellissima di Fiorella Mannoia. Ognuno di noi, vivendo, riceve il dono di poter usare, di potere lasciarsi plasmare, di potere gestire quel patrimonio formidabile di emozioni di sentimenti che un'opera d'arte rilascia nel momento in cui entriamo in relazione con essa.
Owner of nothing
We can make art, we can enjoy art, sometimes we can suffer art but we don't own it.
You can own works of art, but somehow it is immoral because, it is like owning unshared food, or rather accumulating nourishment that is not shared.
This is the point, sharing the nourishment that works of art generate because they have a vital function, like food.
Art has a function: to evoke states of consciousness, and not describe reality.
Any form of beauty, painting, sculpture, music, mathematics, poetry, has always been used for this, to evoke and perceive a state of consciousness whether it is positive, negative, terrible or fantastic.
Perception is vital energy that allows the human being to grow, to adapt to reality, to try to govern it, from the small problem to the existential questions: where I come from, where I go, how do I feel good, what is the point of living ..
It performs an extremely concrete function, both immanent and transcendent. Immanent because it helps to see the opportunity in the problem, that is to give a meaning to life, to the amazing and tiring commitment to open your eyes every morning and put one foot after the other, transcendent because Art puts in tune with the Mystery, that Quid greater than me of which I feel a part and which I cannot understand rationally, or rather I cannot control, I cannot define within the perimeter of logic. Thanks to Art, however, I can recognize it within me, within an I part of a Whole, an active and fundamental part, not measurable, not quantifiable but qualifiable because the Whole, the Mystery, cannot be quantified: it would be like taking universe. It is infinitely greater than us, its figure is a measure that does not belong to experience, to human possibility.
It would be like wanting to count numbers, in the sense of counting them all, right up to the last.
They are infinite and therein lies their beauty.
Here art manifests itself as a place of the soul, in which each of us, like the Vitruvian man, takes the measures of the whole, becomes aware of being inside, for what it is and for what it knows, for what can do.
And not for what he has.
This is why we are not masters of anything, as Fiorella Mannoia's beautiful lyric says. Each of us, living, receives the gift of being able to use, to be able to let oneself be shaped, to be able to manage that formidable heritage of emotions and feelings that a work of art releases when we enter into a relationship with it.
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